Questo percorso avrà inizio nel paesino di San Foca, che nell’Alto Medioevo fu un punto strategico poiché era prossimo al più importante guado che dava accesso all’ampia pianura verso le umide terre della Livenza. Il percorso ci permetterà di leggere i modi attraverso i quali la steppa fu progressivamente colonizzata, paesaggio che in alcuni punti sembra essersi preservato. Ci inoltreremo quindi nella Zona di Protezione Speciale (ZPS) dei Magredi Pordenonesi, per esplorare i prati stabili e la loro biodiversità, oggi intatta grazie anche alle norme di protezione ambientale europee.
Il punto di ritrovo è in piazza a San Foca il 02 Aprile 2023 alle ore 9:30
E’ stato raggiunto il numero massimo di partecipanti!
Invia la richiesta di prenotazione a: info@magredierisorgivefvg.euoppure chiama: +39 340 8645094 (Moreno)
L’iscrizione all’escursione solleva gli organizzatori da ogni responsabilità derivante dalla partecipazione all’iniziativa per eventuali incidenti o infortuni
Tempo di percorrenza: 7 ore
Numero massimo di partecipanti: 40 persone
Pranzo: pranzo al sacco
Un inquadramento geografico
San Foca
La chiesa di San Foca Vescovo e la piazza del villaggio
L’abitato di San Foca sorse sul principale guado del Cellina nel punto dove le terre erano meno buone per la coltivazione. Il territorio agricolo di antico impianto era in qualche modo difeso da tre chiesette campestri: San Biagio, San Antonio e San Urbano, la sola sopravvissuta. Al di là c’erano le terre pubbliche che dividevano San Foca da Sedrano. Se si osserva la carta si può notare come un tempo il paese sembrasse appoggiato a un ‘fiume verde’, l’ampia prateria dei magredi al bordo della quale transitava la roggia. Le prime notizie di San Foca sono relative al documento dell’abbazia di Sesto al Reghena che nel 762 attribuiva l’insediamento a quei religiosi che evidentemente volevano controllare una delle strade più importanti del Friuli. In seguito Sesto cedette queste terre in riva al Cellina e tutti i loro diritti a un importante abbazia della Carinzia dell’ovest, Quella di Millstatt. Il monastero benedettino fondato sull’omonimo lago esigeva diritti da tutti gli abitanti del paese, ma in questo modo con ogni probabilità forniva anche servizi a chi viaggiando tra il nord e l’oriente si trovava a guadare il Cellina in un periodo in cui l’acqua segnava un confine tra Austria e Patria del Friuli. L’abbazia Carinziana teneva il piccolo borgo agricolo già all’inizio del XII secolo perché San Foca è citata come un bene dei religiosi in un documento del 1177 che ne conferma uno precedente del 1122. Per alcuni il passaggio da Sesto a Millstatt è databile 1102.
La chiesa di San Foca ha una dedicazione antica, come il villaggio, e molto particolare perché non è chiaro il motivo per cui fu scelto di dedicare chiesa e insediamento al vescovo di Sinope del Ponto. L’attuale edificio non ricorda nulla di medievale, se non nella torre campanaria che alcuni studiosi hanno letto come il reimpiego di una torre della cortina medievale del paese, per altro non documentata. La chiesa attuale è stata costruita tra il 1885-1897 in forme neoclassiche. L’edificio è ad aula unica rettangolare con copertura a cassettoni lignei dipinti e rosette dorate.
Nel periodo di gestione abbaziale del paese sia Sesto che Millstatt dovevano aver attrezzato in paese delle strutture. Strutture di accoglienza per i pellegrini in transito, ma anche edifici per ospitare il gastaldo che gestiva gli interessi dei monaci e i locali che annualmente ricevevano i prodotti in natura per gli abati.
Un documento conservato presso l’Österreichisches Staatsarchiv di Vienna conserva un documento del 14 luglio del 1286 con il quale Enrico di San Michele affittava metà della decima di San Foca. E’ probabile che l’interesse dell’abbazia fosse ridotto se in questo periodo per definire i confini dei pascoli si doveva scomodare il Patriarca di Aquileia. Bolla con la quale il Patriarca Pellegrino I di Aquileia decide in merito a una disputa tra il popolo di San Foca con il monastero di Millstatt e i signori di Montereale (Calaresio) a proposito dei pascoli. Non ci sono notizie precise che ci permettano di individuare dove fosse collocati rispetto al resto del paese ospedale e depositi, ma si possono fare alcune deduzioni. E’ facile che la casa dell’abbazia fosse vicina alla chiesa e che abbia in qualche modo seguito la devoluzione delle cessioni dei diritti di Millstatt nel XV secolo. Infatti in data 1446 il monastero trasferì i propri diritti a Biachino di Porcia. Quindi i di Porcia acquisirono anche la residenza dell’abbazia e crediamo che questa possa essere identificata con il palazzetto dei Valvason Maniago che si affaccia sul parcheggio di piazza Garibaldi. L’edificio oggi conosciuto come casa Allegretto sembra quasi un edificio popolare, ma quello che rimane del portone di accesso seicentesco in pietra a bugnato e le decorazioni pittoriche seicentesche delle sale del primo piano lasciano intravvedere una residenza nobile e gli esiti di una ristrutturazione di apparati murari più antichi.
Per certo i di Porcia e i Valvason Maniago convissero per un certo periodo condividendo i diritti giurisdizionali da quando nel 1626 Venezia aveva concesso ai secondi il titolo nobiliare che garantiva il quarantatreesimo posto in parlamento.
E’ probabile quindi che questo sito fosse il cuore antico del paese e la sede dell’abbazia sestense prima e carinziana poi.
La chiesa di San Sebastiano
La chiesa di San Sebastiano molto probabilmente sorse a seguito di una delle tante epidemie di peste che si abbatterono sulla campagna friulana nel XVI secolo. Il campanile invece fu aggiunto nel 1707 e sostituì la solita campanella posta in facciata.
L’edificio è del XVI sec. ed è ad aula unica con struttura in pietra a vista e campanile a pianta quadrata addossato alla parete destra in prossimità della sacrestia. L’architettura ha rilievo solo da un punto di vista ambientale per come è collocata su un incrocio.
L’interno presenta una copertura con capriate lignee.
La roggia e i mulini
Lungo quella che oggi è via Partidor a ricordare la storica presa d’acqua, scendeva la roggia che sfiorava l’abitato alimentandolo. Lungo il corso d’acqua la mappa ottocentesca ci mostra come si addensassero diversi opifici: un maglio e due molini. In sostanza questa era la zona artigianale di San Foca ed era anche la prima cosa che i viaggiatori provenienti da Vivaro avrebbero visto superando il guado.
La dimensione dello storico corso d’acqua è ancora perfettamente visibile lungo la stradina che da sempre gli correva a fianco e permetteva di intervenire con le manutenzioni. In alcuni tratti la struttura si alza per far prendere quota all’acqua e sfruttare il salto, come si vede ancora in corrispondenza del capannone che ha inglobato lo storico maglio, posto nel tratto nord. Il molino di sopra è crollato e quello di sotto è stato radicalmente ricostruito.
La roggia di San Quirino diventata strada
Partendo dall’azienda agricola percorreremo una piccola stradina che in realtà segue il segno della storica roggia che alimentava il villaggio di San Quirino.
La roggia di San Quirino dal XII secolo fino alla metà del Novecento è stata la principale risorsa idrica del territorio asciutto dell’alta pianura friulana. La sua origine era al Partidor e aveva il compito di servire all’abitato di San Foca e a quello di San Quirino. Dopo aver alimentato molino e opifici la roggia si divideva per prendere la direzione di Roveredo e Cordenons. Per riuscire a far correre l’acqua sopra le ghiaie era normale costruire un canale rivestito di sassi e come mostra l’immagine seguente si trattava di uno scavo leggermente arginato. L’acqua scendeva secondo la pendenza allontanandosi naturalmente dal fiume che era pensile e il disegno un poco incerto della linea che conduceva l’acqua al molino probabilmente era dovuto alla necessità di interpretare le micromorfologie del suolo cercando di assecondarlo.
Nel Novecento la roggia di San Quirino fu spostata e al posto della vecchia linea d’acqua oggi troviamo una strada pubblica via Molino di Sotto o Montereale che attraversa quelle che nel medioevo erano le terre pubbliche che dividevano San Foca da San Quirino e che ora sono completamente coltivate.
Il brolo e Villa Cattaneo
La famiglia Cattaneo, di origine bergamasca, era una delle più insigni di Pordenone e svolgevano attività di mercatura legata ai tessuti. Tra la fine del ‘600 e gli inizi del ‘700 la famiglia cominciò a diversificare i suoi investimenti comperando terre anche in ambito sanquirinese. Qui acquistarono una casa che era posta all’interno della cortina della chiesa vicina ad altre proprietà di forestieri, i Melos, i Battistini, gli Ottoboni. Si trattava di una sorta di ufficio che permetteva di gestire le proprietà acquistate, ma con l’andare del tempo nella famiglia maturò il proposito di costruire su questo sito una sorta di villa. L’area era estremamente contenuta e difficile perché la casa si appoggiava al muro difensivo medievale. Per riuscire a progettare una residenza in forma di palazzo urbano i Cattaneo dovettero acquistare le case limitrofe. Gli acquisti furono fatti a partire dal 1703 e un disegno del 1718 ci mostra il palazzo già costruito in forma di villa. La residenza dei Cattaneo era stata già edificata ed era completamente circondata dallo spazio pubblico
Sostanzialmente addossata alla chiesa la nuova residenza aveva due facciate. La principale guardava a sud, verso San Rocco, ed era diafra mata dalla strada da un piccolo giardinetto formale. Sull’asse estovest Il salone Passante si affacciava sul brolo e sulle dipendenze agricole che stavano al di la della roggia e della strada disegnando sopra al portone un ampio balcone. Sull’altro lato la residenza dei Cattaneo si affaccia sulla piazza della chiesa costruita proprio all’inizio del ‘700 demolendo gli edifici e le mura della cortina con un aspetto da palazzo urbano.
La villa è tripartita seppure irregolare a causa del riutilizzo delle preesistenze ed è un caso molto interessante con le sue due facciate disassate.
Il carattere di residenza di campagna si espresse nel punto della centralità del villaggio cambiando completamente il paesaggio della piazza.
Oltre la strada i Cattaneo avevano acquisito tutte le terre possibili che un tempo servivano per la coltivazione e che nell’idea della nuova residenza assumevano il senso di una sorta di giardino staccato. Ne usci un lotto lungo e isolato dal resto del paese attraverso un alto muro di cinta. Uno spazio verde per il divertimento, quasi un hortus conclusum separato dai territori agricoli ordinari. Come oggi si accedeva all’area del brolo attraverso un ampio cancello che disimpegnava anche le due barchesse di servizio della villa. In realtà originariamente si costruì solo la prima delle barchesse, quella che oggi ospita gli uffici comunali. Il disegno della fine del ‘700 ci mostra schematicamente la barchesa all’interno del grande brolo solcato da un viale per il passeggio. Il disegno non indugia sulla forma del verde, ma il fatto che a nord e a sud ci siano anche sue fasce di terreno arativo ci fa pensare avesse anche degli spazi coltivati e che quindi, come dice la voce popolare, fosse un “brolo” produttivo. Fino alla fine del secolo scorso questa era anche la zona dell’orto di famiglia e il carattere del parco era molto centrato sulla produzione per il piacere dei signori.
Le terre dei Reganazzi
Nei documenti storici che mostrano il paesaggio di San Quirino alla fine del ‘700 questa zona era caratterizzata da prati da sfalcio detti anche Reganazzi. Erano prati più produttivi dei magredi e a differenza di questi erano privati. Si trattava delle superfici di prato che avrebbero contribuito a riempire i fienili per l’inverno insieme alla quota parte spettante a ogni famiglia per il solo taglio possibile sui prati magredili.
L’armentaressa
Il nome di questa strada che percorreremo per un lungo tratto su asfalto ricorda la sua funzione di un tempo ormai antico. Era questa la strada attraverso la quale le greggi entravano e uscivano dal paese diretti ai magredi pubblici. Le strade armentarie erano difese attorno ai terreni privati, ma appena si entrava nello spazio dei beni comunali queste si aprivano permettendo agli animali di pascolare liberamente. Oggi questa strada è fortemente strutturata e anche in gran parte edificata.
Come mostra bene la carta topografica del 1829 la strada, giunta alla fine delle terre private, si divideva in tre rami: la strada Vivera diretta a Vivaro, la strada della Grava che portava nel magredo e Strada Valvasone che portava al guado per Udine.
Il biotopo di San Quirino
Oltre al grande patrimonio di prati demaniali il comune di San Quirino possiede un biotopo riconosciuto dalla Regione Friuli-Venezia Giulia dal 1997. Frutto della sensibilità del comune e della popolazione che una decina di anni prima si erano opposti alla costruzione di un impianto per il trattamento dei rifiuti urbani quest’area pubblica oggi misura circa 20 ha. Si tratta di prati aridi e ghiareti falciati e per questa persistenza delle praticha tradizionali di coltivazione è particolarmente importante.
Lo ZPS dei magredi
Salendo sulla riva sinistra del fiume si entra in un ambiente speciale e tutelato dall’Europa: il SIC (Sito di Interesse Comunitario) dei magredi. I Magredi erano i pascoli più poveri in dotazione alle comunità rurali della zona e storicamente erano i luoghi in cui d’inverno si tenevano “a posta” i greggi di pecore. Magredo vuol appunto dire terre magre, dotate di poco suolo fertile.
In questo ambiente qualsiasi vegetale ha una crescita molto lenta influenzata dalla profonda aridità del suolo che riesce a malapena a ricoprire a pezzi i sassi del materasso alluvionale. Eppure nel passaggio tra l’ambiente bianco e minerale delle ghiaie mosse dalle piene del Cellina e i primi suoli terrosi degli ambienti più prossimi alle zone coltivate c’è una straordinaria variazione ecotonale negli ambienti naturali. In queste brughiere c’è molta più complessità e rarità che in qualsiasi altra parte della destra Tagliamento.
In questo tessuto di piante locali si possono trovare esemplari del tutto specialicome la Crambe tartaria tipica delle pianure ungheresi. Senza scomodare le cavallerie ungare che transitarono per poche ore in questi luogi circa un millennio fa vale la pena ricordare che sulle parterie dei magredi la Repubblica di Venezia teneva in quarantena le mandrie di bovini che importava dall’Ungheria per il mercato lagunare.
Il guado dell’abbazia e la strada Ungaresca
L’ampio alveo del Cellina, come si può vedere dalla mappa si allargava in modo rilevante tra Vivaro e San Foca. Da questo paese partivano due strade che lo attraversavano, l’ungaresca e la strada di Fanna per poi accedere alla Val Meduna e alla Carnia, come era stato negli interessi dell’abbazia di Sesto. L’ungaresca invece permetteva di raggiungere Spilimbergo, San Daniele e la via del Canal del Ferro.
L’abbazia di Millstatt deteneva diritti molto ampi sul territorio della destra del fiume, mentre quella di S. Paul in Lavantal aveva alcune proprietà a Vivaro. Il carattere aperto dell’enorme guado quasi sempre asciutto era stato colto già nel X secolo dalle cavallerie ungare che attaccarono l’Italia e il terrore inchiodò il nome di questo popolo alla strada che attraversava il guado. Solo pochi decenni fa il transito in alveo fu sostituito da un comodo ponte, ma in questi territori tutti guardavano il cielo non solo per capire gli effetti del clima sul raccolto, ma anche solo per sapere se sarebbero riusciti a passare o a pascolare in riva al fiume. Sulle due sponde rialzate del guado correvano le due rogge per portare l’acqua ai paesi. Per arrivare a Vivaro si potevano percorrere due strade, quella che puntava direttamente sul campanile della chiesa di Vivaro e quella che conduceva per la chiesetta di San Francesco.